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La ricostruzione a cui tutti crediamo


Il 2020, con l’emergenza Covid19, è stato un anno che mai avremmo immaginato di dover vivere.

Io e i mei colleghi abbiamo imparato a lavorare da remoto: attività da sempre svolte in presenza nelle officine, nei cantieri, negli uffici direzionali, nei magazzini, per (forse) la prima volta sono state svolte parlando da dietro a dei monitor, condividendo file, osservando video e foto, immaginando la realtà.

Ma certamente non possiamo lamentarci, soprattutto pensando alla ristorazione, alla cultura, allo sport e al tempo libero: settori che ingiustamente si son trovati a pagare un prezzo troppo alto.

I musei, gli alberghi, i teatri i ristoranti, i bar e le palestre si sono trovati ad essere bloccati nelle loro attività, impediti ad operare: attività vitali per il sostentamento di milioni di lavoratori, e per l’esistenza stessa di interi settori economici.

Una paradossale colpevolizzazione del lavoro e parole come “movida”, “pubblico”, “spettacolo” “consumazioni” hanno assunto connotazioni negative, di sdegno e di rimprovero anche da parte di chi, pur nella sofferenza di non poter uscire, se ne stava a casa con lo stipendio garantito.

La mia speranza per il 2021 è che cessi questa assurda identificazione del lavoro indispensabile, che si assuma la consapevolezza che qualsiasi lavoro, se garantisce anche un solo stipendio, è indispensabile e meritevole di rispetto e considerazione.

La mia speranza è di poter tornare in un museo, poter assistere ad uno spettacolo, cenare con gli amici in un ristorante, lavorare nelle officine e nei cantieri; la mia speranza è che la ricostruzione, a cui tutti crediamo, possa riguardare veramente tutti, nessuno escluso.

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